Presso il CAAB – Centro Agro
Alimentare di Bologna sono in partenza i grandi lavori che condurranno alla
realizzazione di F.I.CO., ovvero la Fabbrica Italiana Contadina: per usare le
parole dei responsabili del progetto, “il più grande centro al mondo per la
celebrazione della bellezza dell’agro-alimentare italiano”. Un investimento da
più parti definito epocale per la città di Bologna: al punto da sollecitarci
alcune modeste riflessioni personali, che cercheremo di sintetizzare nei brevi
paragrafi qui di seguito.
Introduzione
Aristotele diceva che l’uomo è un
essere sociale, e questo lo sappiamo fin dagli anni della scuola. In tempi più
vicini a noi, gli psicologi sociali hanno aggiunto che l’uomo è anche un essere
gregario, vale a dire che molto spesso procede per imitazione dei suoi simili.
Non ci ha sorpreso quindi l’unanimità di consensi che ha accolto, fin dal suo
nascere, l’idea di F.I.CO.: ma quando tale unanimità – come in questo caso – è
plebiscitaria, immediata ed entusiasta (anzi, giuliva, come la famosa oca),
allora c’è forse qualcosa che non quadra. Quando soggetti che se li andate a
trovare non vi offrono nemmeno un caffè si dicono subito disposti a
corrispondere oboli di milioni di euro, allora c’è forse qualcosa che non
quadra. Quando persone che si sono sempre disinteressate di agricoltura e di
enogastronomia prendono a sdottoreggiare in ogni momento e in ogni salsa,
neanche fossero replicanti di Gualtiero Marchesi o reincarnazioni del compianto
Gino Veronelli, allora c’è forse qualcosa che non quadra. Per cercare di
capirci un po’ di più, abbiamo provato a suddividere alcune considerazioni di
buon senso in altrettante sezioni distinte, traendo poi poche, provvisorie
valutazioni finali.
Un po' di storia
Il nucleo urbano che sarebbe
diventato Bologna esiste da circa 3mila anni. Con l’andar del tempo vi si sono
avvicendati i villanoviani, gli etruschi, i galli boi, i romani; dopo la caduta
di Roma ci sono stati i secoli bui, l’età comunale, l’età signorile, la
dominazione papale, la parentesi napoleonica, ancora i papi, l’unità con
l’Italia.
Dopo 3mila anni di storia, come
si vede molto variegata, e con tutte le sue torri, le sue chiese, i suoi
palazzi, la sua antichissima università, la sua fiera, le sue tante attività
industriali, artigianali, commerciali e libero-professionali, oggi la città di
Bologna ha un saldo turistico annuale di circa un milione di arrivi e di circa
due milioni di presenze. Per fare un veloce raffronto con le due maggiori città
italiane, Milano arriva a 6,8 milioni di visitatori annui e Roma, poco
distante, a 6,7 milioni (fonte: Global Destination Cities Index, 2014).
Questi sono i fatti, e come dicono i telefilm americani non sono in
discussione
Un po' di numeri
Stando a quanto dichiarato
ufficialmente (da ultimo, sul “Quotidiano Nazionale” del 21 dicembre 2014), i
visitatori annui stimati per F.I.CO. saranno 6 milioni; anche se ricordiamo,
tempo fa, di aver letto stime ben più alte, nell’ordine dei 10 milioni annui.
Ma fermiamoci ai 6.
Se dividete 6 milioni per 365 (i
giorni dell’anno), avete 16.438: il pubblico medio di una media squadra di
serie A, quando gioca in casa; oppure l’affluenza media totale di una media
fiera professionale. Ogni giorno dell’anno, estate e inverno, sabati e festivi
compresi, senza soste: vi par possibile, a occhio?
Sei milioni e passa, come abbiamo
visto, sono i visitatori annui di Milano e di Roma. Ma vediamo anche qualche
cifra di raffronto a livello internazionale, che ci può aiutare a mettere le
cose nella giusta prospettiva.
Sui 7 milioni di visitatori annui
si attesta la Tour Eiffel di Parigi, uno dei monumenti più conosciuti e più
visitati al mondo. A 6 milioni si collocano il Metropolitan di New York e i
Musei Vaticani. Attorno ai 5 milioni ci sono il British Museum, la Tate Modern
e la National Gallery, tutti a Londra.
Quattro sono i milioni di visitatori annui della Statua della Libertà di
New York.Per tornare all’Italia, il
Colosseo di Roma supera i 5 milioni e mezzo di visitatori annui, Pompei è sui 2
milioni e mezzo e la Galleria degli Uffizi di Firenze, con tutti i suoi Giotto,
Botticelli, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio ecc., non arriva ai 2
milioni.
Per finire, il primo parco a tema
italiano, Gardaland, registra ogni anno 2,7 milioni di visitatori.
Ora, se le cifre sono queste,
come si pensa di poter balzare, a Bologna, dal milione di arrivi (frutto dei
3mila anni di storia e di reputazione della città) ai sei milioni di F.I.CO.?
Per riprendere le parole di Andrea Segrè, ideatore di F.I.CO., forse puntando
sulla sua “alta suggestione: orti e campi, stalle e acquari, officine di
produzione, laboratori, banchi serviti, grocery, ristoranti”? Alta
suggestione? Si pensa di moltiplicare i milioni di turisti con orti, stalle e
acquari? Mah…
Un po' di logistica
Le attrattive internazionali di
cui si è detto sopra si trovano nel pieno centro di alcune grandi metropoli
(Parigi, New York, Londra). F.I.CO. sorgerà invece nella lontana periferia di
una media città come Bologna: in una location di rara bruttezza – ma qui,
direte voi, interverranno i grandi lavori a rinnovare e ad abbellire il tutto –
non esattamente vicina al tessuto storico petroniano.
E a questo punto entra in gioco
la logistica, vale a dire il previsto sistema di collegamenti di F.I.CO. alla
città. “La Repubblica – Bologna” del 21 dicembre 2014 ha titolato, al riguardo:
“Minibus, treno o People Mover? Il rebus dei trasporti”. In parole povere,
quando aprono i cantieri non si sa ancora che fine faranno i collegamenti.
“Stiamo studiando” dice il Sindaco: e questo ci fa tremar le vene e i polsi,
considerando quanto avviene (o meglio, non avviene) da decenni su questo
fronte. Ricordate termini quali “alta velocità”, “variante di valico”,
“passante autostradale”, “sopraelevata”, “metropolitana leggera” – per non dire
di Civis e di Crealis? Che cosa vi evocano? Tempi non brevi e non certi, anche
quando i rispettivi progetti sono effettivamente partiti…
Bene, per F.I.CO., stando a
quanto è dato di capire dalla stampa, siamo ancora in alto mare.Mah
Un po' di fonetica
Lasciateci ora abbandonare per un
attimo i fatti (brutti e cattivi, e notoriamente caratterizzati dall’avere la
testa dura), per venire ad argomenti più leggeri. Come ad esempio la fonetica,
che si occupa di suoni. Suoni? State a vedere, anzi a sentire.Bologna, che circa un anno fa ha
sdegnosamente rifiutato nel suo brand alcune sue icone tradizionali,
come le Due Torri e i portici (salvo poi inserirvi una cangiante tigelliera
modenese), Bologna dicevamo per F.I.CO. si è accodata senza batter ciglio, anzi
con convinzione, alla moda petulante, e imperante, presso molte istituzioni
culturali: la moda dell’acronimo.Dicesi acronimo un nome formato
con le lettere iniziali di altri nomi, leggibile come se fosse a sua volta
un’unica parola. Ad esempio FIAT, Fabbrica Italiana Automobili Torino, oppure
USA, United States of America.
Prendete alcune rispettabili
istituzioni culturali come il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, il
Museo d’Arte di Gallarate, il Museo d’Arte Moderna di Bologna, la Galleria
Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Il Museo Nazionale delle Arti
del XXI Secolo di Roma, il Museo d’Arte Contemporanea DonnaRegina di Napoli.
Sapete che cosa diventano quando usano i loro ricercati acronimi? PAC (un
pacco?), MAGA (Maga Magò? Maga Maghella? Maga Circe?), MAMBO (balliamo?), GNAM
(mangiamo?), MAXXI (Che cos’è? Una t-shirt?), MADRE (non tocchiamo la mamma,
per favore!).
Allo stesso modo, la Fabbrica
Italiana Contadina diventa F.I.CO. E quando chiederete a qualcuno di vostra
conoscenza dove va, vi sentirete rispondere: vado a F.I.CO. Attenti a non
fraintendere, con il finale della parola. Mah…
Un po' di semantica
Dopo aver giocato con il suono,
giochiamo ora con il significato. Trascriviamo dalla “Enciclopedia degli
Alimenti” (Bologna, 1993): “Il fico è un alimento zuccherino, impropriamente
chiamato frutto, perché in realtà la parte diffusamente consumata è il sicone dell’infiorescenza
della pianta, molto diffusa nell’area mediterranea. Può essere consumato fresco
oppure essiccato, procedimento che può avvenire al sole, in forno, in
essiccatoi ad aria, o infine appassito. I più celebri fichi sono quelli di
Smirne, quelli greci e quelli italiani, in particolare i calabresi e i
pugliesi, i francesi, gli spagnoli e i californiani, soprattutto se essiccati”.
Come si vede, non c’è alcun
riferimento a Bologna. Per fortuna i significati simbolici, almeno quelli, sono
in prevalenza positivi: nell’antichità classica il fico era associato
tradizionalmente alla fecondità e all’abbondanza, mentre per i buddisti era
simbolo di illuminazione (si veda ad esempio l’”Enciclopedia dei Simboli”,
Milano, 1991). O forse è da privilegiarsi il significato gergale: probabilmente
chi ha studiato il nome pensava che si sarebbe trattato di un progetto fico, di
un luogo fico, di un momento di socialità fico…Ulteriore, scontato avviso agli
italofoni: declinate il nome, i suoi aggettivi, i suoi attributi ecc.
rigorosamente al maschile. Mah…
Per finire
Da questo guazzabuglio di
osservazioni, direte voi, è possibile trarre delle conclusioni, pur se
provvisorie? Probabilmente no. Quel che ci interessava indicare, se non proprio
mostrare, era l’altro lato del F.I.CO., quello che spesso, per non dire sempre,
resta in ombra nelle dichiarazioni ufficiali.Ovvero, pinkfloydianamente parlando, the dark side of the fig.
Allora: il progetto, per quanto
affascinante sulla carta, pare quantomeno ambizioso, molto ambizioso, sul piano
della sua capacità di attrazione turistica. Al limite dell’irrealtà, stando almeno
alle cifre disponibili. In più, si configura come un corpo fisicamente staccato
dalla città, non inserito né contiguo al centro cittadino, e non ancora collegato;
e non si sa quando e come lo sarà. Venendo ad aspetti più futili come il suono
e il significato del suo nome (futili per modo di dire, perché chi decide la
visita a centinaia o a migliaia di chilometri di distanza spesso si basa sul
puro nome, o poco più: nomina nuda tenemus, diceva uno che se ne intende),
non sembra che ci sia stato uno sforzo particolare in merito: magari gli
stranieri saranno colpiti dalla brevità e dalla facilità dell’acronimo, ma gli
italiani si porranno verosimilmente molte domande…
Più che il F.I.CO., a noi il
progetto in divenire evoca l’immagine dell’iceberg. L’iceberg è una grande
massa di ghiaccio galleggiante, alla deriva nel mare; la sua caratteristica è
quella di rimanere, per circa il 90% del suo volume, sotto la superficie
marina.
Ecco, a nostro avviso il progetto
F.I.CO. ha svelato alla stampa la sua parte emersa. Ma il suo corpaccione
sommerso ancora non lo conosciamo, anche perché poco o nulla sappiamo della sua
genesi, al di là dei bla-bla di circostanza. Solo il tempo, notoriamente
galantuomo, potrà fare maggiore chiarezza.
Per il momento, non abbiamo
problemi a dichiarare che del progetto non abbiamo praticamente capito un
F.I.CO. secco. Piero Valdiserra